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Il Po di Florentino Ariza
Il mio Oltrepò inizia subito: sulla riva destra del grande Fiume. A Cervesina.
Quando ero più giovane ci andavo, ogni tanto. In primavera, ogni tanto. E, da piccolo, mi portava la maestra della scuola: un’allegra scampagnata di tanti grembiuli azzurri e rosa in fila lungo la strada polverosa che taglia in due i pioppeti dell’Isola.
Il Po è bello se riesci a resistergli. Bello solo se lo guardi. Poi cerca di stare a debita distanza. Il Po è pericoloso. È un confine della mente. Una promessa. Una minaccia. Scorre e fa sempre rumore, anche nei giorni caldi d’estate quando la mia pianura è deserta e vedi l’orizzonte in gibigiana, sull’asfalto delle vie. Il suo è il rumore di qualcosa che sta per accadere, di un’iniziazione. Se cedi e ti butti nelle sue acque, sei fregato.
Per questo il Po ti insegna due cose: l’attesa e l’ascolto. Adesso, quando ci vado, mi aspetto che da dietro un’ansa appaia un battello a vapore, con il suo scivolare placido e imponente. Come quei battelli fluviali di Florentino Ariza in “L’amore ai tempi del colera”.
Adesso, a guardarlo, il Po mi dice che “è la vita, più che la morte, a non avere limiti”.
- 30 Luglio 2014
- Matteo Colombo – Cervesina