In Oltrepò tanti talenti... vinicoli e boccistici
In Oltrepò Pavese, il vino di alta qualità e lo sport delle bocce praticato ai massimi livelli hanno rappresentato per molti anni un binomio indissolubile. Lo dimostra il fatto che il nostro territorio è stato capace di produrre in serie autentici “talenti” sia enologici che boccistici. Almeno a partire dal secondo dopoguerra.
Per la verità, nell’ultimo mezzo secolo, alterne vicende hanno caratterizzato l’inscindibile rapporto fra il prodotto principe dell’Oltrepò e una disciplina sportiva che, in tutto questo tempo, ha vissuto un travagliato processo dapprima evolutivo e poi involutivo.
Alla fine degli anni ‘50, quando le bocce – allora sì – erano un semplice gioco da osteria, i contadini della zona si arrabattavano cercando di vendere fiaschi e bottiglioni soprattutto ai milanesi che, dopo aver visitato le nostre belle colline, ritornavano a casa ammaliati dal gusto del salame di Varzi e dal profumo di un vino che, se pur prodotto in modo artigianale, a loro doveva sembrare un vero e proprio nettare degli dei.
In quel periodo, soprattutto nei piccoli paesi oltrepadani, numerosi campi da bocce si trovavano proprio vicino alle osterie, spesso coperti da un fitto pergolato, la cui ombra, nei mesi estivi, proteggeva le infuocate partite che servivano a stabilire chi fra i giocatori dovesse pagare le consumazioni.
Solo in seguito, l’Oltrepò cominciò a esportare i suoi vini migliori e anche i boccisti più abili, alcuni dei quali avrebbero saputo vincere gare importanti e prestigiose.
Il movimento boccistico locale, a partire dalla seconda metà degli anni ‘60 fino a tutto il decennio successivo, espresse una serie di campioni di caratura nazionale: il vogherese Romano Scampoli, innanzi tutto, vincitore di ben cinque titoli italiani nella prestigiosa specialità individuale. Era lui “il campionissimo delle bocce”, quello che aveva saputo conquistare il cuore dei tifosi con le medesime armi usate dal grande “Faustò” (così i francesi chiamavano Coppi) per irrompere nella storia, anzi, nel mito del ciclismo: anche Romano, come Fausto, aveva classe pura e inarrivabile; e rispetto assoluto per gli avversari, spesso dominati, mai umiliati. Il suo era un boccismo elegante, misurato e regolare, eppure bellissimo, caratterizzato da una sensibilità nell’accosto che ricordava le sonate romantiche di Chopin; dal suo braccio-leva, inoltre, partiva una bocciata tesa, che si librava in aria come il volo di un’aquila reale.
Scampoli era l’erede diretto di una tradizione sportiva già ben radicata nel settore: il funambolico Marco Binda (uno fra i più grandi giocatori di tutti i tempi, purtroppo scomparso prematuramente) e “il senatore” Armando Rovati, insieme con il fido Rino Guagnini, erano solo alcuni fra i più degni esponenti, a Voghera, di una vera scuola, dalla quale sarebbero presto usciti altri boccisti di valore assoluto, come il godiaschese Carlo Figini, eccelso e insuperabile tiratore di volo, e Pierino “Lupo” Rosada, entrambi emigrati, per ragioni di lavoro, a Milano e in Brianza dove, grazie ad alcuni sponsor, furono messi in condizione di esprimere al meglio il proprio indiscutibile talento.
Già da allora, neanche i produttori di vino stavano ormai più solo a guardare: cercavano la ricetta giusta per esaltare, al di fuori dei ristretti confini territoriali, la bontà di un prodotto meritevole di ogni attenzione.
Ci fu, per fortuna, chi comprese che il primo passo, indispensabile, consisteva nel far coincidere gli interessi dei singoli, dei commercianti e delle varie cantine sociali: occorreva, insomma, creare un consorzio, al fine di qualificare e valorizzare il territorio e, nello stesso tempo, tutelare i consumatori.
Ci mise del suo anche il noto giornalista Gianni Brera il quale, a beneficio dell’amico Giovanni Ballabio, coniò per l’Oltrepò Pavese il famoso slogan: “Qui il vino è vino”.
E, intanto, il firmamento boccistico era illuminato dall’astro nascente del bressanese Serafino Gatti: “il Cassius Clay delle bocce”, come l’aveva definito un giornalista sportivo qualche anno prima, allorché si era trovato a dover raccontare di un campionato italiano trasformatosi improvvisamente in corrida, dentro un piccolo palazzetto dello sport gremito da una folla delirante per quell’atleta “che stendeva al tappeto gli avversari, infilzandoli con giocate strepitose, proprio come usa fare un matador fantasioso quando sfinisce il toro con una serie di colpi preparatori per poi ucciderlo impietosamente con l’ultima, decisiva stoccata”.
Bocce e vini oltrepadani, dunque, sono cresciuti insieme; alla conquista, entrambi, di riconoscimenti e vittorie importanti al di là del grande fiume. Almeno sino alla fine degli anni ‘80.
Dopo, la situazione è radicalmente mutata: il movimento boccistico non è più riuscito a esprimere campioni all’altezza della propria tradizione; per la verità, alcuni giocatori hanno saputo imporsi, riuscendo a raggiungere risultati molto positivi, ma non eclatanti. Basti pensare a Rino Fossati, a Tino Bardoni, ai fratelli Michele e Renzo Lodigiani, a Luigi Ghiozzi, a Lucio Tiengo, a Mauro e Stefano Perotti, a Eugenio Biglieri, a Massimo Zerba.
La vitivinicoltura oltrepadana, al contrario, ha saputo raggiungere vertici di qualità, pur non avendo ancora trovato il suo “campionissimo”. Questione di tempo e, soprattutto, questione di scelte, magari tra Bonarda e Pinot nero...
All’inizio del terzo millennio, in bilico fra tradizione e innovazione, fra vitigni autoctoni, in grado di esprimere la tipicità di un territorio con caratteristiche uniche al mondo, e innovative produzioni dai gusti addirittura internazionali, il destino dei vini oltrepadani appare correlato, oggi più che mai, alle capacità imprenditoriali e al talento dei produttori.
E intanto, le bocce stanno a guardare, attendendo anch’esse nuovi talenti…
- 07 Aprile 2014
- Giorgio Macellari