Nei dintorni di Norimberga hanno dedicato al tema addirittura un percorso, che si chiama “Strada tedesca dei giocattoli”. E’ un itinerario ben noto agli appassionati e ai collezionisti di tutto il mondo, un vero e proprio “giacimento” dove, accanto ai giocattoli dell’oggi, è possibile trovare Musei e raccolte delle creazioni dei Dockenmacher, i costruttori di bambole di legno che resero famosa Norimberga. Ma in Oltrepò Pavese, a Santa Giuletta, c’è un piccolo Museo che, anno dopo anno, si sta affermando come meta di collezionisti, curiosi e scolaresche. E’ il Museo della Bambola e del Giocattolo “Quirino Cristiani” inaugurato nel 2005, insieme con relativo laboratorio, e che ultimamente sta ampliando la propria offerta di visite grazie a un gruppo di volontari, coordinato da Loretta Ravazzoli.
Per visitarlo occorre telefonare o scrivere in Comune (tel. 0383 899141 – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. ), ma ci sono occasioni in cui il Museo, che si trova in Piazza Pertini nel Palazzo del Municipio, è visitabile anche senza prenotazione. La prossima occasione sarà domenica 10 maggio in concomitanza con la seconda edizione della Mostra Mercato “Bambole e giocattoli d’epoca” allestita presso Palazzo Felloni Scassi (Oratorio) in Via Martiri della Libertà.
La Mostra Mercato sarà aperta dalle ore 10.00 alle ore 17.00 e sono attesi circa 40 espositori da tutta Italia, un numero doppio rispetto alla precedente edizione. Non solo: alle ore 14.00, presso la Sala Consiliare del Comune, sala che si trova esattamente sopra il Museo della Bambola, terrà una conferenza Samy Odin, fondatore del Museo della Bambola di Parigi.
Per aggiungere un tocco di tradizione enogastronomica alla tradizione artigianale della bambola che è identità di Santa Giuletta, nel pomeriggio è prevista anche una degustazione di “schitte”, le tipiche focaccette dell’Oltrepò ottenute da una pastella di acqua e farina. Le schitte saranno proposte in abbinamento ai vini dei produttori locali, vini dotati per l’occasione di una speciale etichetta commemorativa. Neppure l’assaggio delle schitte sarà casuale, ma inserito nel tema della giornata: il momento ha infatti come titolo “Dalla farina alla colla, passando dalla cucina alla fabbrica”, con riferimento al materiale collante un tempo utilizzato per le bambole e costituito dallo stesso impasto di acqua e farina. “Colla” nel dialetto dell’Oltrepò è sinonimo di “pastella”.

Santa Giuletta, la Norimberga italiana – La storia della produzione di bambole a Santa Giuletta ebbe inizio negli anni ’30 del secolo scorso e si concluse alla fine ‘900 con l’avvento dell’uso della plastica, della produzione industriale e della concorrenza esercitata da realtà italiane e straniere. Primo laboratorio operativo per la costruzione di bambole a Santa Giuletta fu la ditta Fata dei cugini Teresio Garbagna e Luigi Porcellana (1933). A seguire, vennero numerosi altri laboratori e fabbriche: Liala (1945), Diva (1949) e, ancora, Silba, Alba, Giulietta, Lilly, Miva, Farida, Rossella, Liana, Milena, Monel e Sapia, quest’ultima già indirizzata verso la produzione in plastica diffusa negli anni ‘70. Il materiale utilizzato per l’originaria bambola di Santa Giuletta era la cartapesta, sostituita nel tempo da polistirolo, polietilene e vinile. Dall’inizio degli anni ’60, si iniziò a produrre anche peluche e pupazzi. Si specializzò in questo ambito soprattutto la ditta Rossella, dove nacque il primo Topo Gigio su disegno di Maria Perego. Si svilupparono anche laboratori di parti complementari (voci, occhi, capelli, contenitori in cartone). Le operarie addette al settore toccarono complessivamente qualche migliaio di unità, molte provenendo da paesi vicini, ma esistevano anche attività domestiche in supporto a quelle di laboratorio e fabbrica.
L’atelier – Chiamarle “fabbriche” è riduttivo: i laboratori artigianali della bambola di Santa Giuletta erano vere e proprie unità d’azione per la bambola. Materiale base: la cartapesta, ottenuta da fogli di giornale. La filiera comprendeva vari passaggi, tra stampi, incollaggio, inserimento di occhi e sonagli, colorazione dell’incarnato, capelli (in molti casi veri). Toccava poi alle modiste disegnare gli abiti, che le addette, ma sarebbe opportuno indicarle come vere e proprie sarte, confezionavano spesso dipingendo a mano bordi e finiture. Molto attenta la ricerca dei materiali, delle stoffe e dei complementi. Una particolare bravura era richiesta a chi doveva modellare le acconciature. Nessun dettaglio sfuggiva: anche le unghie delle bambole venivano laccate.

Dati e aneddoti – La bambola di Santa Giuletta fu esportata in tutta Italia, ma anche all’estero. Ciò provoca attualmente una difficoltà di ricerca, anche per il fatto che pochi laboratori ebbero la lungimiranza di “marcare” le bambole alla loro uscita dalla fabbrica.
Riconoscere una bambola di Santa Giuletta richiede quindi una speciale preparazione, fatto che rende queste bambole ancor più di pregio. Per la stessa ragione, il Museo della Bambola di Santa Giuletta è un luogo esclusivo dove poter vedere da vicino diverse di queste creazioni. Il modello più diffuso era quello della damina, con i suoi abiti particolarmente preziosi in materiale e finiture e non destinata al gioco delle bambine ma all’abbellimento come soprammobile, in particolare accomodata sul letto. A Santa Giuletta nacquero anche la bambola più alta prodotta sino alla fine degli anni ’60 (105 centimetri) e un prototipo che ricordava l’attuale Barbie.

 

 

 

 

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